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martedì 24 aprile 2018

Nuoteremo in un oceano di plastica senza vita e il triplo più inquinato di oggi: mancano 7 anni


Scienziati britannici hanno calcolato che in meno di dieci anni la quantità di rifiuti plastici negli oceani potrebbe superare la quota di 16 trilioni, triplicando il dato attuale. A rischio biodiversità e stock ittici per la pesca.

In appena sette anni la quantità di plastica negli oceani potrebbe triplicare, passando dagli attuali 5,5 trilioni di rifiuti a più di 16. Una quantità immensa che minaccia costantemente la biodiversità marina, in particolar modo quella dei vertebrati, le cui popolazioni sono crollate del 49 percento tra il 1970 e il 2012. A lanciare l’allarme è un autorevole ente scientifico governativo del Regno Unito, che ha pubblicato un rapporto nel quale ha puntato i riflettori sulle principali minacce per gli oceani: i cambiamenti climatici, l’innalzamento del livello dei mari (con potenziali e catastrofiche inondazioni delle coste) e l’inquinamento. Nel documento, chiamato “Foresight: Future for the Sea” (Futuro per il mare) sono stati sottolineati anche i potenziali benefici economici legati a un uso consapevole delle risorse marine: per il Regno Unito la cosiddetta “economia oceanica” potrebbe balzare a due trilioni di sterline entro il 2030.
Ma torniamo alla plastica. Ian Boyd, uno degli autori dello studio e capo scienziato presso il Dipartimento ambientale del governo britannico, ha sottolineato che il ‘problema’ degli oceani è di essere ‘lontani dalla vista e dalla mente’. Dunque non ci preoccupiamo sufficientemente per ciò che accade al loro interno, commettendo un gravissimo errore anche sotto l’egoistico profilo commerciale. Ben presto, infatti, nei nostri mari ci sarà più plastica che pesce, e la crisi degli stock ittici diventerà sempre più ampia e trasversale.
A preoccupare gli scienziati è soprattutto la tenuta della biodiversità, anche quella non ancora scoperta, dato che parchi eolici offshore, industrie petrolifere e imprese minerarie stanno letteralmente aggredendo aree incontaminate. “C’è un continuo processo di esplorazione di nuove cose da sfruttare negli oceani, e questo sta accadendo più velocemente di quanto noi scienziati possiamo tenere il passo”, ha aggiunto il dottor Boyd. Il professor Edward Hill del Centro nazionale di oceanografia, un altro autore dello studio, ha commentato i risultati dell’indagine con una vera e propria provocazione: “investiamo molto denaro ed entusiasmo per le missioni nello spazio – ha sottolineato lo studioso – ma non c’è niente che vive là fuori: il fondale marino brulica di vita. Abbiamo davvero bisogno di una missione sul Pianeta oceano – è l’ultima frontiera”.
Il problema della plastica negli oceani, la cui immagine simbolo è diventata la fotografia di un cavalluccio marino aggrappato a un cotton fioc, sta avendo conseguenze drammatiche ovunque, anche su isole completamente disabitate. Come la piccola Henderson, dove recentemente è stata rilevata la più alta densità di rifiuti plastici dell’intero Pianeta. Persino i Caraibi sono stati trasformati in una sorta di discarica a cielo aperto. Per contrastare il fenomeno dell’inquinamento, spiegano gli autori del documento, è necessario introdurre la più presto la plastica biodegradabile, altrimenti gli oceani resteranno letteralmente soffocati dalla nostra incuria e negligenza.

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